Novità del PIME

Mondo e Missione

Global Christian Forum: nuovo slancio all’ecumenismo (sab, 27 apr 2024)
Oltre 240 esponenti di tutte le confessioni si sono ritrovati in Ghana per «discutere insieme le sfide che la comunità cristiana globale si trova a dover affrontare oggi», ha detto in un messaggio Papa Francesco Anche Papa Francesco ha inviato un suo messaggio al quarto Raduno mondiale del Global Christian Forum (Gfc), tenutosi ad Accra, capitale del Ghana, dal 16 al 19 aprile. L’evento ha riunito esponenti delle diverse fedi cristiane, con l’obiettivo di approfondire i punti in comune e condividere le esperienze di comunità. «La vostra assemblea – ha scritto il Pontefice nel messaggio letto da monsignor Flavio Pace, segretario del Dicastero per la promozione dell’Unità dei Cristiani – vede partecipanti provenienti da tutto il mondo, il che riflette il bellissimo mosaico del cristianesimo contemporaneo con la sua ricca diversità pur essendo fondato sulla nostra identità condivisa di seguaci di Gesù Cristo». Sono state più di 240 le persone giunte ad Accra, provenienti da 60 Paesi, con rappresentanti della fede ortodossa, cattolica, protestante, evangelica, pentecostale; vi hanno preso parte anche esponenti delle Chiese indipendenti e delle Organizzazioni ecumeniche internazionali. «Il tema di quest’anno, “E il mondo conosca” (Gv 17, 23b) – continua Papa Francesco – chiama i cristiani a incarnare l’unità e l’amore del Dio Trino nelle loro personali vite ecclesiali, così da offrire la propria testimonianza in un mondo segnato da divisioni e rivalità». Il Global Christian Forum cerca di farsi promotore di questa unità da 25 anni, attraverso incontri e raduni regionali e mondiali. Il Forum di Accra ha creato uno spazio di discussione per le nuove espressioni della cristianità, in merito al quale il Santo Padre ha sottolineato come le proposte abbiano contribuito soprattutto a rafforzare il legame tra le fedi cristiane con storie diverse tra loro, spingendole a crescere nella fraternità grazie all’incontro in Cristo. Una ventina di cattolici erano presenti al raduno e diversi laici, sacerdoti e membri di varie comunità religiose che si sono impegnati attivamente nella realizzazione del programma, che comprendeva liturgie, esegesi bibliche, riflessioni e testimonianze in plenaria e tavole rotonde. I temi di discussione cambiavano quotidianamente: “Feriti nella propria umanità”, “Guariti attraverso Cristo” e ancora “Inviati da Dio”. Il programma prevedeva anche la visita al Forte di Cape Coast, uno dei forti della tratta degli schiavi, costruiti dagli schiavisti europei. La responsabilità delle Chiese nella tratta degli schiavi è stata riconosciuta durante una delle celebrazioni tenutasi nella cattedrale metodista di Accra, nel corso della quale i fedeli hanno chiesto perdono e invocato la riconciliazione. Monsignor Flavio Pace, nel corso del suo intervento, ha ricordato anche che l’unità ecumenica rappresenta uno dei punti fondamentali per proseguire il cammino sinodale della Chiesa cattolica avviato dal Papa nel 2021, come affermato anche nella Relazione di sintesi dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi riunitasi nell’ottobre 2023: «Non può esserci sinodalità senza la dimensione ecumenica». Proprio per questi delegati di altre confessioni saranno presenti anche alla prossima Assemblea di ottobre, in numero maggiore rispetto a quella dello scorso anno. Un chiaro segnale della volontà di lavorare sempre più insieme anche in futuro per la promozione del Vangelo. È con una nota di speranza che si conclude il messaggio di Papa Francesco: «Che questo incontro, proprio in occasione dell’anniversario d’argento del Forum, possa intensificare la vostra fede e ridare vita al vostro amore fraterno pregando insieme, scambiandovi le vostre storie personali e discutendo le sfide che la comunità cristiana globale si trova a dover affrontare oggi».    L'articolo Global Christian Forum: nuovo slancio all’ecumenismo sembra essere il primo su Mondo e Missione.
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Don Paolo Marasco, un dono per l’Albania (Fri, 26 Apr 2024)
È il primo presbitero a essere ordinato nel Vicariato dell’Albania meridionale. Appartenente alla Piccola Famiglia dell’Assunta di Monte Tauro, il monaco missionario sarà al servizio della piccolissima comunità cattolica e in dialogo con ortodossi e musulmani Ieri, 25 aprile 2024, la Chiesa cattolica di Albania ha vissuto una giornata storica e memorabile. Non si erano mai visti così tanti fedeli e religiosi nella cittadina di Lushnje (non lontano dalla storica città di Berat) accorsi per l’ordinazione presbiterale del monaco missionario don Paolo Marasco, 40 anni, della Piccola Famiglia dell’Assunta (Monte Tauro, Rimini). Si tratta della prima ordinazione mai avvenuta nel Vicariato apostolico dell’Albania meridionale, sin da quando è stato costituito nel 1938. Sono solo 3.000 i cattolici del vasto territorio, ovvero lo 0.2% della popolazione. L’evento è stato vissuto con grande emozione e partecipazione dal popolo cristiano dell’Albania, accorso anche dalle diocesi del nord. Moltissimi gli amici venuti dall’Italia. Con il vicario apostolico, il vescovo barnabita Giovanni Peragine, hanno concelebrato una ottantina di diaconi e presbiteri e altri cinque vescovi provenienti dalle diocesi di Tirana, Durazzo e Alessio (in albanese Lezhja), da quelle di Ravenna e Rimini e il nunzio apostolico in Albania. La celebrazione ha avuto anche una connotazione ecumenica, con la partecipazione dell’arciprete di Berat e un altro sacerdote della Chiesa ortodossa autocefala albanese. Nei prossimi giorni don Marasco incontrerà anche una decina di rappresentanti della comunità islamica, con i quali ha rapporti amichevoli. Don Paolo, infatti, è partito come missionario per il vicariato dell’Albania meridionale nel 2015. Ha imparato la lingua e studiato presso il seminario di Scutari. Nella sua attività missionaria, ha dialogato in particolare con i fratelli ortodossi e con i credenti musulmani. Quando ne è emersa la necessità, ha accolto l’invito a essere ordinato presbitero, applicando così la tradizione monastica che prevede che un monaco acceda all’ordine solo per necessità pastorali. I presbiteri del Vicariato meridionale dell’Albania sono 14. La diocesi di Rimini ha sostenuto la missione con missionari fidei donum, insieme ad altri istituti religiosi femminili e maschili e ad altre presenze missionarie. Mentre nell’Albania del nord ci sono cinque diocesi con quasi mezzo milione di fedeli, nel Vicariato apostolico meridionale – pur essendo territorialmente più esteso – la Chiesa vive una situazione di precarietà missionaria e porta avanti l’impegno nell’evangelizzazione e nel dialogo. La Piccola Famiglia dell’Assunta è una comunità monastica fondata da don Lanfranco Bellavista nel 1972. Presente all’ordinazione di ieri, don Lanfranco ha maturato la scelta monastica dopo alcuni anni a fianco di don Giuseppe Dossetti. La Piccola Famiglia include una sessantina di monache e monaci, molti di loro giovani: per regola, ciascuno adotta a vita una persona disabile, assegnata dai servizi sociali o dai tribunali. Questa comunità molto speciale include anche una decina famiglie che aderiscono alla regola e numerosi volontari e sostenitori. Da molti anni la comunità è attenta alla presenza dei cinesi nel territorio riminese e del ravennate e mette in atto numerose iniziative di collaborazione ed evangelizzazione. Un prete e alcune giovani donne cinesi vivono in comunità, mentre alcuni monaci si sono recati in Cina per studiare la lingua. Lo stesso don Paolo, che è monaco dal 2005, ha trascorso gli anni più recenti in Italia, impegnandosi a servizio delle comunità cinesi a Ravenna e a Rimini. Tornato da qualche mese in Albania meridionale, don Paolo vive a Berat con la sua comunità missionaria e monastica e le persone disabili loro affidate. Berat è la più bella tra le città storiche dell’Albania, splendidamente restaurata e ora meta turistica internazionale, con un suggestivo castello e un centro antico che testimoniano le numerose dominazioni che si sono alternate in questa regione.   L'articolo Don Paolo Marasco, un dono per l’Albania sembra essere il primo su Mondo e Missione.
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Ostelli in Bangladesh, una casa per gli studenti (Wed, 24 Apr 2024)
I missionari del Pime, che hanno fondato le due diocesi di Dinajpur e Rajshahi, operano nelle parrocchie delle aree rurali offrendo sostegno ai giovani delle comunità tribali L’Istruzione come possibilità di riscatto dall’emarginazione sociale e dalla povertà. È questa l’idea alla quale si sono fin dal principio ispirati i missionari del Pime arrivati per la prima volta in Bangladesh nel 1855. Oggi, i sacerdoti dell’Istituto gestiscono una serie di ostelli per bambini e ragazzi appartenenti alle minoranze religiose ed etniche, sparsi tra le comunità rurali delle diocesi di Dinajpur e Rajshahi, entrambe fondate dal Pime e ora amministrate dalla Chiesa locale. Gli ostelli sono strutture in cui i giovani risiedono per potersi concentrare negli studi e dare una svolta alla loro vita. Le scuole governative del Bangladesh, infatti, sono molto scadenti e i bambini appartenenti ai gruppi tribali (soprattutto oraon e santal ma anche mahali, mandi o garo) non sono madrelingua bengalese e a volte hanno più difficoltà. In molti casi i genitori sono analfabeti, lavorano nei campi come contadini o alla giornata, facendo la guardia notturna o vendendo verdure. «Una missione senza ostello è morta», racconta padre Carlo Buzzi, in Bangladesh dal 1975 dopo essere stato per qualche anno prete diocesano. Oggi è sacerdote della parrocchia Ave Maria di Gulta, nella diocesi di Rajshahi, in cui, oltre ai dormitori per i bambini, ci sono anche una chiesa e un dispensario. «In Italia mi sembrava di perdere tempo, volevo andare dove c’era davvero bisogno, e un tempo il Bangladesh, dopo aver proclamato l’indipendenza nel 1971, era il Paese più povero del mondo». Nella missione di Gulta sono ospitati 50 ragazzi e ragazze, che frequentano la scuola pubblica locale. «Al pomeriggio sono seguiti nello studio e i genitori sanno che qui i figli possono ottenere un’istruzione di qualità. Alcuni provengono anche da 200 chilometri di distanza». I bambini sono tutti cristiani e indù per fare in modo che, in un Paese a stragrande maggioranza musulmana, anche le minoranze abbiano la possibilità di emanciparsi. Alcune missioni del Pime ospitano anche una scuola, come nel caso della parrocchia di Chandpukur, affidata a padre Ciro Montoya Belisario, sacerdote colombiano associato all’Istituto. «I ragazzi degli ostelli sono per scelta tutti indù e cristiani, ma le lezioni sono frequentate anche da bambini musulmani». Gli insegnanti chiedono fondi per la realizzazione di libri di testo nelle lingue natie dei tribali: «Per ovviare al problema abbiamo deciso di tenere le lezioni in lingue diverse: un giorno in inglese, un giorno in bengalese e gli altri negli idiomi indigeni», commenta il sacerdote. Altri missionari hanno invece puntato sullo sport: da buon brasiliano, padre Almir Azevedo, originario dello Stato di Maranhao, ha coperto con la terra un campo di riso della missione di Mo­ehshpur, parte della diocesi settentrionale di Dinajpur, per trasformarlo in un campo da calcio: «Lo sport aiuta a crescere. I ragazzi qui non hanno altri mezzi o divertimenti». E chissà, magari qualcuno potrebbe addirittura avvicinarsi al professionismo. Ma non mancano le competizioni più “tradizionali”: «Ogni anno a giugno organizziamo anche un torneo di tiro con l’arco per maschi e femmine, perché i santal in passato cacciavano con arco e frecce». Alcune parrocchie gestite dai missionari hanno anche un importante valore storico per i cristiani: nella comunità di Nobai Bottola, dove vive padre Arturo Speziale, 83 anni, ogni anno il 16 gennaio si svolge un pellegrinaggio in onore della Madonna. I cristiani del posto le sono particolarmente devoti perché nel 1971, durante la guerra di liberazione, i fedeli che si erano rifugiati nella chiesa furono risparmiati dall’esercito pakistano. Nella parrocchia, che si trova al confine con l’India, è ancora presente la statua originaria. «Si pregava con sentimento e paura, ognuno a modo suo. Spesso i soldati, temendo che anche i civili fossero combattenti, facevano piazza pulita», prosegue il missionario, che, dopo aver studiato l’induismo per quattro anni in India, è arrivato in Bangladesh nel 1972. «C’era tanta miseria al tempo. I ragazzini, per guadagnare qualcosa, davano la caccia ai ratti. Un topo grosso, oppure 4 o 5 piccoli valevano due taka», oggi pari a circa 20 centesimi di euro. Nonostante una presenza centenaria, i missionari del Pime in Bangla­desh hanno sempre nuove sfide da affrontare. Padre Paolo Ballan, parroco a Suihari, spiega che la missione, quando era nata, si trovava in un’area rurale. «Mentre ora Suihari è una periferia della città di Dinajpur, che conta 100 mila abitanti. Oggi bisogna prendersi cura di una realtà cittadina, le necessità sono diverse e abbiamo in progetto di cambiare la struttura della missione per intercettare queste nuove esigenze. Molti ragazzi di etnie diverse ora entrano in contatto tra di loro, e c’è bisogno di fare lavoro di integrazione», spiega il missionario. Negli ostelli della parrocchia sono ospitati 94 ragazzi e 61 bambine. «Avremmo potuto accogliere più studenti, ma abbiamo preferito puntare sulla qualità. La retta che chiediamo alle famiglie copre meno della metà della spesa necessaria per ogni ospite degli ostelli – continua il sacerdote – mentre il sostegno a distanza permette di pagare anche lo stipendio degli insegnanti che si occupano del doposcuola». La struttura delle missioni del Pime è stata poi replicata da tutte le parrocchie del Bangladesh, precisa padre Ballan. «Se in alcune aree di Dhaka gli ostelli oggi possono sembrare superflui, nelle aree tribali si dimostrano ancora fondamentali».    L'articolo Ostelli in Bangladesh, una casa per gli studenti sembra essere il primo su Mondo e Missione.
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I vescovi del Brasile per una società più giusta e fraterna (Tue, 23 Apr 2024)
È un’analisi lucida quella che i vescovi del Brasile, riunioni in Assemblea, hanno fatto del Paese e della Chiesa stessa, rilevando molti punti critici, ma anche alcuni motivi di speranza: «Soltanto la cultura dell’incontro può promuovere una società più giusta e fraterna» Si è conclusa da poco la 61° Assemblea generale della Conferenza episcopale del Brasile (Cnbb). Il più numeroso episcopato del pianeta – conta più di quattrocento vescovi – si è riunito dal 10 al 19 aprile presso il Santuario nazionale di nostra signora Aparecida, nello Stato di San Paolo. Le prime due giornate sono state di ritiro spirituale guidato dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, sul cammino sinodale. Successivamente, i vescovi sono entrati nel pieno dei lavori assembleari che avevano come tema centrale: “La realtà della Chiesa in Brasile e l’aggiornamento delle sue linee-guida generali dell’azione evangelizzatrice”. Come sempre, il primo appuntamento li ha visti impegnati in un’analisi dettagliata del contesto sociale e ecclesiale brasiliano. Per il discernimento sull’Instrumentum Laboris, con i rispettivi dibattiti e riflessioni, si è scelta la metodologia sinodale, ovvero, la “conversazione nello Spirito”, intorno a 45 tavoli sinodali, dove i vescovi si sono riuniti come in piccole comunità. Come gli stessi presuli hanno dichiarato, «in assemblea abbiamo avuto l’opportunità di dialogare e riflettere sulla nostra partecipazione nella missione della Chiesa e nella società. È stato un momento di comunione e di valorizzazione delle nostre diversità». Due messaggi La Conferenza episcopale brasiliana non ha tuttavia consegnato alle comunità cristiane del Brasile le nuove linee-guida per l’evangelizzazione, come alcuni speravano. I vescovi, infatti, attendono le conclusioni del Sinodo sulla Sinodalità in corso, per poter far tesoro anche delle orientazioni che saranno date alla Chiesa universale. Tuttavia, i pastori hanno lasciato Aparecida con due messaggi: uno ai cristiani cattolici del Brasile, e un altro a tutto il popolo brasiliano. Nel primo, esprimono gratitudine e apprezzamento per l’impegno missionario delle comunità ecclesiali: «Lodiamo Dio per la carità che voi vivete, per l’amore a Gesù e ai fratelli, prendendovi cura degli infermi, degli anziani e dei più bisognosi». Aggiungono: «Incoraggiamo le pastorali, i movimenti e i diversi servizi a diventare sempre più missionari, andando verso tutti per offrire la gioia dell’incontro personale e comunitario con Gesù Cristo». Bello il richiamo ai cattolici affinché si mantengano uniti: «I valori della nostra fede sono preziosi e stanno al di sopra di questioni partitarie e ideologiche, che non ci devono dividere». Le polarizzazioni ideologiche, infatti, sono penetrate negli ultimi anni anche nelle comunità ecclesiali. Inoltre, in un Brasile sempre più plurale, i cattolici sono invitati ad aprirsi al differente: «Sappiamo rispettare chi la pensa diversamente, dobbiamo ascoltare, dialogare, senza perdere i nostri valori, ma aprendo il cuore per accogliere chi ha altre convinzioni». Scenario preoccupante Nel messaggio al popolo brasiliano, i vescovi scrivono: «Riaffermiamo e rinnoviamo la nostra opzione radicale e incondizionata per la difesa integrale della vita che si manifesta in ogni essere umano e in tutto il Creato». In perfetto stile profetico latinoamericano, i presuli non tacciono i mali che affliggono il Brasile e il mondo, mettendo soprattutto in evidenza che la pace è ovunque minacciata: «Le spese militari nel 2023 sono state le più alte dalla Seconda Guerra Mondiale». Anche rispetto all’attuale scenario del Brasile, i vescovi si dicono preoccupati: «Accompagniamo con dolore l’aumento della criminalità, delle milizie, del traffico di droga, della violenza nelle città e nelle campagne, del bullismo, del vandalismo, del razzismo, del traffico di persone e dello sfruttamento sessuale di bambini, adolescenti e persone in situazione di vulnerabilità; la realtà dei migranti, dei senzatetto, dei carcerati; la corruzione, il nepotismo, e il traffico di influenze violentano il Paese». Dinnanzi a questo quadro, invitano tutti ad essere costruttori di pace: «Dobbiamo costruire la pace che nasce dalla giustizia (cfr. Is 32,17)». Dialogo e fraternità Le divisioni presenti nella società brasiliana destano preoccupazione, anche in vista delle prossime elezioni amministrative. L’episcopato brasiliano invita a percorrere il cammino del dialogo: «Il recente passato ci insegna che la ricerca di soluzioni per il Brasile passa necessariamente per il dialogo e la comprensione». Inoltre, i vescovi si augurano che le prossime elezioni comunali possano essere un’opportunità per rafforzare la democrazia attraverso un voto cosciente e libero. Pertanto, «la coscienza civica dovrà stare al servizio degli interessi più profondi del nostro popolo, perché ci sono esigenze etiche per la realizzazione del bene comune […]. Siamo preoccupati che estremismi facciano del processo elettorale un palco di intolleranza e di ulteriore violenza, disprezzando il progetto di fraternità sociale». Amazzonia e popoli indigeni Non poteva mancare uno sguardo sull’immensa regione amazzonica. Senza mezzi termini la Conferenza episcopale brasiliana denuncia: «La Amazzonia soffre!». E segnala che le popolazioni che abitano nelle foreste o lungo i fiumi si trovano in una situazione di sfruttamento tale da non poter più vivere dignitosamente. In relazione alle popolazioni indigene, i vescovi chiedono un’attenzione speciale da parte di chi detiene il potere pubblico: «C’è bisogno di migliori politiche pubbliche nell’azione concreta in difesa dei popoli originari e di protezione delle loro terre, specialmente nel territorio yanomami». Segnali di speranza Nonostante tante situazioni difficili, l’episcopato non tralascia i segnali di speranza che provengono proprio dalle comunità cristiane, dove tanti uomini e donne di questo immenso Paese incontrano la carità della Chiesa. Infatti, «le comunità cristiane sono state esempi di solidarietà concreta, amicizia e responsabilità sociale. Emarginati nelle periferie sociali ed esistenziali, senza la possibilità di affrontare con dignità il quotidiano, molti incontrano nella comunità la mano tesa che tante volte non viene garantita dal potere pubblico». E concludono: «Soltanto la cultura dell’incontro può promuovere una società più giusta e fraterna».  L'articolo I vescovi del Brasile per una società più giusta e fraterna sembra essere il primo su Mondo e Missione.
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